In ricordo della poetessa Ofelia Giudicissi Curci

La vigna

 

Eravamo nati            

per essere cavalli     

e vivere tra bivacchi 

di fuoco e musica      

di chitarre battenti.   

La peronospora ci colse

di sorpresa                                                               

al finire dell’infanzia

per corazzarci

di forme                                 

e indicarci                                         

un cammino senza zagare.               

Avrei dovuto baciarli            

tutti                            

gli uomini che ho sentito.                 

-il soldato di terza classe     

con gli occhi smarriti

d’amore         

nella divisa                

dell’indifeso;             

-il bellissimo meridionale     

che toreava                           

con me;                                  

- il ceramista pallido             

che sbriciolava la creta        

in forme inutili;         

- l’operaio patetico                           

che sognava nel tango         

antico 

me fuggiasca;                                               

- il poeta che possedeva      

col silenzio la carne;             

- il cacciatore                        

alla posta attento                  

mentre la lepre                     

si faceva d’argento

nella luna della sua morte.   

Chi vieta agli uomini                        

di amarsi                   

come le acque dei fiumi       

anelanti il mare?                  

Chi vieta agli uomini                                               

di possedersi                                     

come le rondini in volo?       

Chi vieta agli uomini

di contemplarsi

come le stelle nitide

in cielo?

Ho visto la peronospora

distruggere

i bei grappoli d’uva

e torva recingere

la vigna

e mietere d’intorno

come la stolta legge

dell’uomo

lo sciocco e vano

preconcetto

dell’essere.

Ora che non è più tempo

d’amore

ora che l’attesa

non ha più senso,

ora che la “vintulera”

non divide più

i chicchi di grano

dalla jushka

me ne andrò

all’ultima quercia

all’ultimo confine

dell’ultimo paese

lontano

e mi getterò

bocconi sulla terra:

il canto delle raccoglitrici

di ulive

mi sembrerà retorica,

la zappa del contadino

non mi parrà

fendere in due il cuore,

la mulattiera

specchio del mezzogiorno

che sia lastricata

anch’essa,

che lo slogan entri

in ogni tugurio

- io attenderò -

starò in guardia

che la peronospora

non colga

gli ultimi raccioppoli

della vigna.

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