Dell'amico Peppino Ventrice, direttore didattico in pensione, riporto quanto m'ha espresso dopo quanto ha scritto del prof. Gangale.
"Vorrei esprimerti un pensiero che forse potrà servire a chiarire ulteriormente la mia posizione nei riguardi del Professore. Io penso che la lingua sia fondamentalmente un fatto orale e comunicativo e che tutti noi (che -in un modo o nell'altro- abbiamo operato per conservare i testi e le tradizioni linguistiche delle nostre povere realtà sociali) abbiamo onorato il messaggio del prof. Gangale: sia che ci siamo serviti del suo modo di scrivere, sia che abbiamo usato altri alfabeti.
Il messaggio del Professore -per quel che ricordo- era di reagire alla tendenza in atto di omologazione delle culture minoritarie a poche culture dominanti (vedi il dilagare dell'inglese...) e questo- aggiungo io- a prescindere dal codice alfabetico usato.
Io ho appreso dal prof. Gangale che la mia lingua materna si poteva scrivere e questo le ha conferito - nella mia considerazione- un'alta dignità. Questo conta...il resto (grafemi, ,digrammi, o alfabeto di Monastir o del Kjondri) sono meno importanti".
 

LA MIA COLLABORAZIONE CON GIUSEPPE GANGALE

del dr. Giuseppe Ventrice

Busto di Giuseppe Gangale posto accanto alla sua tomba

Nel 1961 abitavo a Catanzaro per motivi di studio. Stavo in pensione, assieme ad alcuni amici, nel quartiere alto della città (San Leonardo), in casa di una guardia carceraria.

Il professore, che all'epoca era direttore del Fondo Albanico della Biblioteca Reale di Copenaghen, la domenica mattina si presentava puntuale in taxi sotto la nostra casa ed aspettava che il mio amico Renzino scendesse per andare insieme a lui a fare interviste nei paesi di lingua albanese del circondario, Caraffa, Andali, Marcedusa, Vena di Maida.

Renzino con flemma si levava dal letto, si sbarbava, si lavava con calma.

Mentre faceva il nodo alla cravatta dava un'occhiata dalla finestra al professore, che attendeva paziente in piedi accanto al taxi, poi finalmente scendeva.

Dopo qualche tempo anch'io entrai nel giro degli arbereschi (come lui spesso li chiamava) che collaboravano con lui alla documentazione dello stato di conservazione della lingua albanese nella media Calabria.

Qualche volta ci coinvolgeva nelle interviste alle persone, altre volte, all'Hotel Jolly, ci assegnava un testo classico (per es. un canto dell'Odissea) e ci invitava a tradurlo nel dialetto da noi parlato. Annotava ogni parola che dimostrasse la vitalità dell'antica lingua e stimolava a creare neologismi con le radici delle antiche parole, fornendo egli stesso esempi concreti. Ci spronava insomma a rivitalizzare la nostra lingua.

L'esperienza più stimolante per me fu quando mi affidò la ricerca del substrato albanese nella comunità di Gizzeria (nei pressi di Lamezia Terme).

Gli abitanti di Gizzeria non parlano più l'albanese, per effetto delle proibizioni imposte nei secoli passati da parte dei feudatari per esercitare un maggiore controllo sui sudditi.

lo andai a Gizzeria, munito di registratore e di macchina fotografica. Rintracciai nella loro attuale parlata calabrese parole albanesi, ma pronunziate "alla calabrese". Rintracciai toponimi chiaramente albanesi, ma la cosa più interessante fu la documentazione fotografica che riuscii a portare del modo tipicamente albanese di trasportare i pesi: legandoli con una corda sulle spalle anziché posandoli sulla testa, come si usa fare in quel circondario.

Negli anni seguenti ci furono diversi congressi delle minoranze linguistiche sparse in Europa, la fondazione del Centro glottologico greco-albanese di Crotone, la mostra di Palazzo Fàzzari a Catanzaro.

La mia collaborazione col prof. Gangale durò fino alla sua partenza per la Svizzera, poco tempo prima della sua scomparsa.

Dalla conversazione con lui ho ricevuto un patrimonio di informazione nel campo della filologia comparata indoeuropea e l'esempio di una concezione severa della vita.

Mi risuona ancora nelle orecchie la sua frase "l'ottimo è nemico del buono".

La sua correttezza morale aveva sempre tenuto lontano dal discorso le sue idee religiose ed ogniqualvolta accennavo a tale ambito egli sfuggiva dicendomi: "Lei mi costringe a filosofare: ho smesso di farlo ormai da tanti anni!"

Egli infatti negli anni '20 del secolo scorso era stato un esponente di primo piano del protestantesimo in Italia, tanto che, a tale riguardo, più che di protestantesimo - secondo alcuni - si potrebbe parlare di "Gangalismo".

Aveva diretto per alcuni anni la rivista "Conscientia", che era stata chiusa per difficoltà con la censura fascista. Poi aveva fondato la casa editrice Doxa. In seguito si era dedicato agli studi di glottologia ed in particolare alle lingue minoritarie: soprattutto il ladino e l'albanese. Ci ricordava spesso (per stimolarci) di essere riuscito a rivitalizzare e far rientrare nell'uso corrente l'antica lingua feroica parlata nelle isole Faer Oer prima della conquista danese. Quella lingua non era più conosciuta dagli abitanti delle isole, ma se n'era conservato un testo scritto: il Vangelo. Ciò era bastato per rimettere in uso l'antica lingua e per renderla idonea a comunicare tra uomini del nostro tempo.

La sua opera tra gli albanofoni di Calabria è servita a sensibilizzare al problema della conservazione della lingua materna soprattutto le comunità della "Media Calabria" che, contrariamente alle comunità cosentine e sicule, non sono riuscite a conservare il rito greco nella liturgia e, con esso, i sacerdoti autoctoni in funzione di promotori della lingua e cultura portata in Calabria dalla madrepatria.

Scrivo ciò per l'ammirazione che ho per lo studioso Gangale, anche se nutro dubbi che le parlate delle comunità albanofone della media Calabria possano mai assolvere in futuro funzioni diverse dalla minuta comunicazione nel ristretto ambito delle famiglie e delle rispettive comunità Anche l'alfabeto inventato da Giuseppe Gangale (più latinizzante, più trasparente e più accettabile per noi) mi sembra avere poche speranze di diffusione tra gli albanofoni, perché arrivato "in ritardo" rispetto a quello pur slavizzante e talora "opaco" di Monastir. Del resto queste cose dissi chiaramente al prof. Gangale.

Negli ultimi anni della sua vita anche il suo luogo d'origine, Cirò Marina, si ricordò di Giuseppe Gangale ed organizzò un incontro pubblico con lui. Recentemente gli ha dedicato un busto in una piazzetta ed ha accolto le sue ossa nel suo cimitero.

Per incarico dell'Amministrazione comunale ho scelto per la sua tomba una sua lirica, rivelatrice della sua tempra di studioso e di apostolo.

PARAKALLESURITY TV MBROMESY

PREGHIERA DELLA SERA

 

Zot, tire sheh teku rreva:

uda e gkillate ishe,

dderaty tonde ty ngkusta, si o'i skruary.

Si ti ddeshe, stupiny ure llasta,

moora trastyrin e bbora i raddeeres.

Si tire ddeshe, kapyrzeva

ure malle e llumera, dhezha llufte, i malekuar e i bekuary,

 

Signore, Tu vedi dove io sono giunto:

 la strada era lunga

e le tue porte strette, così com'è scritto.

 Come tu hai voluto, ho lasciato la casa,

 ho preso il fagotto e mi son fatto mendicante.

 

esuI vyrteteje, folla

gkilluhe ty huaxa, me ty huaxa hooriis.

Ure i huaxi bask me ty timaty,

ure njy i vetem vet me shuum veta,

ure kjerkji i ççaary, po dhe pasikjiry

i tiχy ççy ndirroon te fllamur lliveer.

Nanì ççy fllamuri u vuu

mbi çukkaty e mallevet teku

hipurry ty tatera timy

e eera e mbromesy timy friiny,

Zot, killoft tiχy truar kit fllamur.

Llem ty ty llus, u ççy kakjy fllamura ulla,

Llem ty ty llus, u ççy nyngk

munda ty lIutija

ka vieçç pa ty dimuruame.

Shih, gkiIluha ççy nyngky zhgkillidhex,

si gkilluha e Zahhariut ty pa beesy,

zhgkillidhet (sa ty thirret, o i lIart,

o i shehury, o i pa killuamy,

me fiallat ty ddekura e tateravet,

 uj ty bekuary ty sprishury

mbi kartavet time ty thata).

 

Come tu hai voluto, ho varcato

 montagne e fiumi, ho acceso

guerre, maledetto e benedetto,

 assetato di verità, ho parlato

lingue straniere assieme a gente straniera.

lo forestiero tra la mia gente,

io uomo solo tra tanta gente.

lo vetro rotto, eppure specchio

di Te, che trasformi in vessillo un cencio.

Ora ch 'è issato questo vessillo

sopra le cime dei monti sui quali

ripararono i miei antenati

e fischia il vento della mia sera,

a Te, Signore, affido il vessillo.

Ti prego io che tante bandiere ho abbassato,

Ti prego io che per anni senza numero

più non ho potuto pregare.

Vedi: la lingua che non si scioglieva,

come quella di Zaccaria senza fiducia,

si scioglie (per chiamarti: o altissimo

 o misterioso, o ineffabile,

con le parole morte degli avi,

 rugiada benedetta, aspersa

sulle mie aride carte).

Nota tipografica

La lirica riportata sopra è scritta utilizzando non l'alfabeto albanese "ufficiale" (quello cosiddetto di Monastir), ma l'alfabeto inventato dal prof. Gangale ed attualmente promosso dal Centro glottologico greco-albanese di Crotone.

Quella che segue è la sintetica biografia riportata sulla ristampa dell'opera di G. Gangale "Revival" (Sellerio editore Palermo, 1991).

Giuseppe Gangale (1898-1978), dopo gli studi universitari a Firenze, agli inizi degli anni Venti, si converte al calvinismo e prende a collaborare, e poi dirige, "Conscientia", rivista a ispirazione protestante ma che, sotto il suo impulso, diventa autorevole cenacolo dell'opposizione intellettuale e laica al fascismo: vi collaborarono assiduamente Gobetti, Banfi, Tilgher, Momigliano, Limentani, Basso. Chiusa d'autorità "Conscientia", Gangale fonda la casa editrice Doxa destinata a ospitare scritti politici, spesso traduzioni, non ortodossi.

Dal 1934 è in esilio in Svizzera, poi in Danimarca dove si dedica, da allora esclusivamente, a studi filologici e dialettologici, collaborando col grande linguista Hjernslev. Oltre a Revival, tra le sue opere politiche sono Rivoluzione protestante e numerosi saggi e interventi su riviste degli anni Venti.

Interessanti notizie su Giuseppe Gangale si trovano nel sito internet:

Jeta Arbyresh - Mondo arberesco di Enrico Ferraro (www.mondoarberesco.it)

http://www.openaccess.it/pulsar

12/03/2004

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