ALCUNI APPUNTI IN RICORDO DI GIUSEPPE GANGALE DA PARTE DI ENRICO FERRARO

 

A vent’anni dalla morte, la figura del professor Gangale è sempre prepotentemente viva in me.

Il suo orologio da tasca “Omega” gentilmente donatomi all’indomani della morte del Professore dalla signora Margherita Uffer Gangale, è posto, da quella data, all’altezza del mio comodino a segnare le ore e rievocarmi i lieti momenti di un’affascinante avventura.

La mia frequentazione del compianto Professore ha avuto inizio nel pomeriggio del mese di maggio 1968.

Ricordo la data perché ancora oggi mia moglie, di rito latino, me la rievoca quando mi occupo d’arbyreshy, vale a dire spesso. E’ un’eredità gangaliana.

Quel pomeriggio di maggio (“galeotto” mio fratello Antonio) un dipendente dell’hotel Bologna riferiva a mia moglie (allora abitavo a Crotone) che il dr.Gangale dell’Università di Copenaghen mi chiedeva cortesemente un incontro.

M’incontrai il mattino successivo con grande “delizia” di mia moglie che temeva mi distraessi dagli immancabili impegni familiari.

Doveva trattarsi di qualche ora pomeridiana e da stabilire.

Primo colloquio, primi tentativi, primi progetti. Dopo un lungo medioevo, in cui versava la lingua arberesca, si tentava di iniziarne un movimento umanistico e rinascimentale. Conoscenza “dell’antichità classica”, del primo periodo, della cultura arberesca. Conoscenza e studi dei grandi italo-albanesi: da Argondizza a Camodeca, Camarda, De Rada, Dara, Dorsa, Masci, Matranga, Serembe, Variboba, soltanto per citarne alcuni.

Iniziarono così le prime traduzioni del Vangelo Secondo Matteo; di canti dell’Inferno, del primo canto dell’Odissea; l’Agamenone di Eschilo; la Passione di Cristo secondo Matteo; Saggio sulla trascrizione del Milosao di G. de Rada, e altro ancora che non elenco per brevità.

Il mio impegno pomeridiano da un’ora iniziale andava sempre più dilatandosi.

La tregua avveniva quando il Professore andava in Danimarca, in Sila o in Trentino per una vacanza di studio della lingua Ladina o per un ciclo di conferenze.

Naturalmente mi affidava dei compiti, mi telefonava.

I primi incontri avvenivano in Hotel, poi nella sua abitazione e infine quando le cose si sono “complicate” nel Centro.

Infatti, a Crotone era sorto il Centro Greco - albanese di glottologia, Centro che, in dieci anni di attività, ha avuto tanti traslochi.

Molti sono stati i convegni, gli incontri con le varie comunità arberesche del catanzarese, dell’Alto crotonese, del cosentino e infine di tutta la comunità sparse in Italia nel castello del prof. G. Del Gaudio.

Il mio impegno di “volontariato” si poteva considerare a tempo pieno. Ero il segretario del Centro. Ormai il Professore mi cercava telefonicamente a Taranto, in Sila, ovunque mi trovassi.

Trascuravo gli impegni familiari o l’arricchivo di valori spirituali? Mia moglie n'era scettica!

Le cose che portavamo avanti erano tanto interessanti da entusiasmarmi sempre più.

Il Professore m’affascinava per la sua umanità, per la immensa cultura. Io cercavo di dare il meglio di me anche se spesso, ancora oggi, mi chiedo se effettivamente ho fatto abbastanza.

Ricordo con tanta nostalgia le nostre visite di lavoro nei paesi albanesi del catanzarese: Caraffa, Andali, Marcedusa, Vena di Maida, Zangarona per le ricerche sul campo e il grande entusiasmo del Professore.

Tutti lo conoscevano: le persone colte e soprattutto quelle umili. Gli analfabeti erano ancor più interessanti perché non contaminati dal “litir”, dall’italiano. Naturalmente

non mancavano le critiche e le polemiche sul suo metodo circa la grafia adottata.

Qualche prete in segreto mi avvertiva della fede protestante del Professore e avanzava dubbi sulla traduzione del Vangelo che noi tentavamo di tradurre direttamente da un testo greco.

Ricordo anche le sue amarezze di un isolato caso di comportamento da Giuda di un nostro collaboratore. Il Professore, come Cristo, non era venuto senza spada!

Si commuoveva nell’ascoltare negli anni settanta, a Marcedusa, un ragazzo parlare l’arberesco insegnatogli dal nonno Pietrantonio. Ormai nel paese i giovani erano tutti “dearberizzati.”

Mi faceva notare che ancora c’era chi all’età rispettabile d'ottant’anni arrossiva alle sue interviste. Un mondo che conservava ancora intatti i grandi valori dei padri.

Ricordo il mio soggiorno all’Università di Copenaghen per catalogare il materiale bibliografico arberesco da destinare alla biblioteca reale.

Alloggiavamo nello stesso caratteristico Hotel di Gillelaje che aveva ospitato il filosofo Kierkegaard e tutte le mattine arrivavamo a Copenaghen in mezz’ora circa.

Durante il viaggio si lavorava.La lingua parlata era soltanto l’arberesca.

Il professore era contento di avere il suo segretario tutto per sé, in altre parole per L'arbyreshy, senza la distrazione della famiglia.

Il Professore, poi, si trasferì a Crotone con la prima moglie Maddalena, la sua amatissima “Lallina”, la sua “Matelda protestante”, donna intelligente e colta e si lavorava anche in casa in un’ambiante ovattato, con le tapparelle completamente abbassate e la luce elettrica accesa per evitare distrazioni…in quel luogo e in quelle condizioni ci si poteva immaginare di lavorare in qualsiasi punto del globo.

Ho avuto il privilegio d'avere le sue confidenze, le sue apprensioni per la moglie tanto sofferente, le sue ansie, il suo presentimento di avere poco tempo per la causa delle minoranze linguistiche.

In occasione di un suo improvviso e breve malore ha chiesto di essere accompagnato all’Ospedale e riaccompagnato a casa dal suo Ferraro. Si rivolgeva a me anche quando doveva risolvere cose di natura pratica.

Ho avuto il privilegio di ascoltare le spiegazioni mediche - scientifiche sulla sua malattia che lo aveva colpito, mi confidava le stranezze compiute nei momenti di crisi. Era dolorosamente cosciente del suo male.

Ho avuto il privilegio di essere stato il primo ad essere informato dalla Svizzera delle sue nozze con l’attuale moglie signora Margherita, anche lei donna intelligente, colta e religiosissima.

Ricordo tante cose ma ciò che resta incancellabile dalla mia memoria, è lo sguardo che il Professore mi ha rivolto attraverso il vetro dell’ambulanza che lo trasportava in Clinica in Svizzera senza ritorno.

“I shkreti Ferrari”, il povero Ferraro, rimaneva solo!

Ho visitato, due volte, con mia moglie e con grand’emozione il cimitero di Locarno dove una semplice pietra con inciso “Giuseppe Gangale” lo ricorda.

Parma,26 luglio 1998

Enrico Ferraro

 

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